giovedì 19 novembre 2015

20 anni da Buffon.

Mi permetto di parlare anche io, in una ricorrenza così particolare, di quello che personalmente è più di un portiere ma è il Portiere.
Difficile parlare di un giocatore universalmente apprezzato ed amato da vent'anni a questa parte. Si è detto tutto, si è detto tanto. Impossibile forse trovare un aggettivo non ancora utilizzato per definirlo, nonostante l'italiano non sia propriamente una lingua povera di sinonimi.
Oggi parto da lontano.
Non sono cresciuto in una famiglia calciofila, solo mio zio è sempre stato juventino purosangue.
Scelsi la Juve verso i 5 anni quando con altri amichetti tirammo a sorte la squadra da tifare tra le 3 più blasonate. Più avanti scoprii che il destino era stato buono con me. Mi avvicinai definitivamente al calcio nel 1994 prima stimando per primo Baggio, del quale pretesi i suoi scarpini Diadora sebbene non praticassi ancora questo sport. Poco più avanti mi innamorai perdutamente di Del Piero, di quegli amori che si portano fin dentro una tomba.
Il "mio" primo portiere fu Peruzzi. Tozzo e felino, cupo e vincente. Garanzia concentrata in centottanta centimetri di esplosività e forza.
Poi un gigante olandese, suo successore, non mi conquistò mai. Papere e freddezza, numeri rossi e trofei agli altri.
In provincia invece cresceva Lui, un mattacchione paratutto.
Mi conquistò in una serata di Coppa quando parò due rigori a quell'antipatico di Chapuisat e per me, portiere solo in spiaggia, furono prodezze scaldacuore.
Quello si veste da Superman, para sempre tutto, sceglie un numero di maglia per poi cambiarla dopo polemiche spicciole su presunte simpatie politiche.
La Nazionale, l'infortunio prima di Mondiali ed Europei, poi il passaggio a Torino. Strapagato, anzi no, sottopagato per quanto ha poi reso. Magnifico da subito.
Sull'Olimpo degli Dei dopo Berlino, un Pallone d'Oro che avrebbe meritato almeno in compartecipazione, andato ad un suo compagno.
Da Berlino a Rimini. Un abisso. L'immortalità del Mondo-Juve conquistata con quella scelta di estrema fedeltà.
La rinascita e la risalita verso i salotti comodi, lunga e difficile.
Lui con la sua faccia grande e sorridente, con le sue dichiarazioni mai banali e sempre carismatiche.
Mai una lite con un avversario, solo corse furibonde per sedare gli animi caldi a metà campo. Ricordo solo uno screzio con Thiago Motta. Mi spaventai al pensiero che potesse togliere fuori la forza bruta tipica dei buoni d'animo. Il cosiddetto gigante buono.
L'accusa di participazione al calcioscommesse, i mugugni sul suo stato fisico dopo qualche salto a vuoto nemmeno degno di cronaca. Poi un'annata dietro l'altra in crescendo, per tornare dov'era rimasto. I supereroi non perdono i poteri con l'età, per loro gli anni non contano. Se uno nasce Superman lo resta per sempre fino a quando non avrà deciso di godersi la pensione. Vent'anni sono tanti ed in vent'anni ne succedono di cose. Ha fissato tantissimi momenti indelebili nella mia mente. Una delle parate alle quali sono più affezionato la fece in Serie B, all'Olimpico di Torino. Avversario il Bologna. Fu una parata doppia. Mi emozionai. Sancì il definitivo ritorno della Juve in Serie A, togliendo una zavorra trascinata per un anno, una vita per quegli eroi innocenti. Leadership e personalità esagerate, traghettatore nei momenti difficili e comprimario nei trionfi. Lucido sempre, in porta e fuori. Anche nella recente dichiarazione riguardante la sua esclusione dai 50 migliori giocatori del 2015. Un'annata incredibile, forse difficilmente ripetibile. Da vent'anni continuano a cercargli un rivale, un'antagonista nel suo ruolo. Pagliuca, Casillas, Dida, ancora Casillas, Julio Cesar. Lui è rimasto sempre lì, ancora oggi.
Eppure nonostante una bacheca infinita, riconoscimenti globali, una residenza obbligata nella storia del calcio, c'è anche per lui qualcosa per il quale credo avrebbe barattato anni di carriera. Quella maledetta/benedetta Coppa con le orecchie giganti. Le sue mani l'avrebbero afferrata bene, sarebbe stato come con il più docile dei tiri. Il Dio del calcio l'ha però privato di quest'altro privilegio. Probabilmente, purtroppo, resterà solo un sogno Suo ed anche un po' nostro. Dispiace solo che ad Honorem non gliela possano dare. Per uno così grande, un'eccezione la si potrebbe anche fare.
Dopo l'ultima volta a Berlino con un sogno così grande infranto, così violentemente ancora caldo, eccolo lì, il primo a presentarsi alle telecamere. L'emozione negli occhi, la forza dell'animo, il coraggio del campione, l'Uomo. L'esempio da seguire per i bambini, non solo in campo ma nel modo di porsi con gli altri all'interno di un rettangolo da gioco, con il sorriso, con le palle, con la passione e con il rispetto. Per amore dello sport.
Questo per me è Il Portiere.
E sono contento che quel giorno, quel Destino mi abbia permesso di diventare beniamino e fan di un tale Supereroe.
Ah, dimenticavo, Auguri per questi vent'anni Capitano.

f.a.

martedì 3 novembre 2015

Fattore C...

Fattore C.
lascio ai malpensanti una lecita libertà di interpretazione. comunque ci prenderebbero.
evidente però che non possa concentrare il mio elogio ad un qualsivoglia lato B, per cui mi concentrerò sull'altro fattore C, che di nome fa Juan.
scheggia impazzita, sgusciante ed imprevedibile così come testardo ed indolente.
Cuadrado è quasi una super-car, e come tale va saputo gestire.
Alienante e nocivo per gli altri se inserito armoniosamente in un contesto pluralizzato. Inceppato ed innocuo se trattato da fulcro del gioco. "palla a Cuadrado e spera", no! non è Messi, non è Cristiano.
l'assenza prolungata di fonti del gioco in campo ha portato troppo spesso i suoi compagni ad intestardirsi nel renderlo organizzatore.
l'errore forse parte da più lontano, dal mercato. il modulo scoperto e poi promosso l'anno scorso, capace di portare la squadra laddove tutti sappiamo, avrebbe meritato altra considerazione durante la sessione estiva. invece, per assurdo, l'uomo più fantasioso a disposizione è un colombiano più rapido che fatato, più ballerino che visionario. questo potrebbe essere stato un errore.
ed errore è scambiarlo per un risolutore. lui no, è una forza se coralizzato non se trattato da accentratore  involontario. non tiri da 30 metri senza pretese, non colpi di tacco così frequenti.
sabato, escludendolo dagli 11, sembrava quasi che il Mister volesse in qualche modo dare un segnale a lui e agli altri. si parte quindi con la fiducia verso l'acquisto dell'ultimo secondo, Hernanes, coadiuvato dalla mediana più forte ma sfortunatamente ancora inespressa.
dopo poco cambia già tutto. forfait di Sami, e dentro lui, Juan.
La Juve segna, ma non affonda più, quasi si risparmia le ripartenze che potrebbero ferire eccome il Toro. invece poi arriva un goal bello quanto casuale e la testa di tutti, non più solida come nelle altre stagioni, vacilla.
ci pensa Buffon a salvare il risultato.
poi disordinati ci riaffacciamo, legati alle abituali incertezze di manovra, troppo legati alle giocate singole del pluricitato sopraccitato, e a quelle di Pogba. troppe danze e ricami inconsistenti. i fischi dello stadio, il nervosismo di Alvaro relegato in totale sacrificio in fascia. poi fuori Dybala, l'unico forse capace di donare ancora speranze di ribalta. l'ultimo cambio vede l'avvicendarsi i due esborsi più grandi dell'estate, con l'ingresso del meno offensivo dei due.
sfido chiunque a negare che in quel momento non abbia pensato alla resa, alla decadenza definitiva di quelle aspettative che alla vigilia di ogni gara tornano prepotenti in essere, tra speranza e consapevolezza.
minuto 93, forse 94, abbiamo appena preso una traversa.
sembra l'ennesima dimostrazione che quest'anno la fortuna abbia cambiato domicilio e ci giochi effettivamente contro.
all'ultimo respiro l'ennesimo attacco disordinato regala la palla all'ultimo entrato. inserimento e palla dentro, all'esterno opposto. Cuadrado appunto. Gol, triplice fischio, la festa.
forse cambierà tutto, forse non cambierà niente.
ha vinto l'intuizione del Mister grazie al Determinante Fattore C.
Chiamatelo anche Culo, ma preferisco si tratti del fattore Cuadrado.
alla fine basta vincere, è l'unica cosa che Conta...










f.a.

giovedì 22 ottobre 2015

Quando una Joya ?!

12 mesi fa, superato l'infortunio d'inizio preparazione, il Cerbiatto madrileno non aveva ancora vinto lo scetticismo generale.
Qualche buono spunto, un assaggio di accelerazioni violente e poco più. Titolare mai se non per le rotazioni del turn-over. Un gol a Empoli, una doppietta da subentrato nella goleada contro il Parma. Un'occasione importante sprecata, nella quarta gara del girone di Champions. Fuori lui, dentro quello che era stato il titolare fino a quel momento, Llorente. Il Navarro, nonostante il personale momento delicato, cambiò l'inerzia del match. Juve di rimonta, gara ribaltata. La gara della svolta che secondo il sottoscritto ha cambiato l'approccio mentale bianconero alla competizione, fino a Berlino.
Nuovamente sotto nelle gerarchie, bene e poi male discontinuamente fino a Carnevale. Lì il cerbiatto timido ha cambiato pelle, vestendosi definitivamente da partner ideale di Carlitos. I tifosi e la stampa filo-bianconera sprecano titoli e striscioni, "innaMorati" tutti ad un tratto. Il suo exploit sotto porta contribuisce impetuosamente a portare la squadra a sfiorare uno storico triplo titolo. 
Oggi, 12 mesi dopo, imprechiamo impauriti per la famosa recompra, spettro presente dietro ogni sua giocata decisiva. 
Ecco, si fa presto a criticare, denigrare, brontolare e poi idolatrare. Un altalena di giudizi, come d'incanto. 
Se la storia si ripeterà ce lo dirà solo il tempo. 
In provincia, 12 mesi fa, incantava tutti un folletto argentino guadagnatosi il soprannome La Joya. 
Lo vogliono tutti e quel bravo mercante del suo presidente lo promette ad una squadra diversa un giorno sì e l'altro pure, scatenando così una pubblica asta. In primavera, quando invece il nostro era già sbocciato a tutti gli effetti, il piccolo Paulo era andato quasi in letargo. Prima il rifiuto, giusto, alla Nazionale di Conte poi la paura di perdere per infortunio il treno verso qualche big. Non gli succede niente, nonostante sia una delle vittime preferite dai calcioni dei rudi avversari. Chiude da capitano in un Barbera estasiato, salutato in trionfo. Il buon mercante aveva chiuso l'affare, una quarantina di milioni tra cartellino e bonus. Tanta roba tra un "chi l'ha preso ha fatto un affare...lo voleva Berlusconi"..."lo volevo io, l'avrei dato a..."
Dybala arriva presto a Torino, addirittura è già presente sugli spalti di Berlino in quell'amara finale.
L'estate porta tante attese su di lui ancora di più dopo l'addio del Brigante, con il quale sognava di duettare.
La Juve è un cantiere aperto tra arrivi e partenze, tra infortuni e risultati che non arrivano. 
Ad oggi Paulo, complici gli infortuni degli altri, è l'attaccante della rosa che ha giocato di più. Quasi il doppio di Morata, il secondo più utilizzato per capirci. Però ho appena detto che la Juve era un cantiere, e forse lo è ancora un po', e Paulo è bravo ma è giovane. 
A Shanghai era entrato ed aveva spaccato tutto, poi solo fiammate. 
Oggi sembra essere la quarta scelta, ultimamente al massimo per una decina di minuti, i finali. Difficile possa risolvere , così le partite. Difficile possa tacere i mugugni, così. Ma chi guida la squadra penso sia la stessa persona che è stata capace di prendere un gruppo spompato ma solido, affiatato ma scottato, e di spingerlo quasi oltre ogni più rosea aspettativa, adattandolo e rimotivandolo. Sarebbe quindi logico pensare che il Mister stia solo aspettando il momento giusto per il 21 bianconero. Sperando non si arrivi a Carnevale per la svolta, quest'anno serve presto, diciamo subito.
Su Paulo, ma soprattutto sulla critica giornalistica e dei tifosi, grava il fatto che certe cifre non le spendevamo da un po' per certi giocatori, e non parlo di Amauri, Felipe Melo e Diego. 
E qui torno al tempo, quello che ci dirà se avremmo trovato gol e gioie per almeno un lustro abbondante, o se il mercante ci ha illusi bluffando.
Detto che quel soprannome credo porti poca fortuna se affibbiato in zona Palermo, pensando ad un tipetto presto "finito" come Abel Hernandez, io voglio credere che ci innamoreremo di nuovo. 
E a dirla proprio tutta, facendo tutti gli scongiuri del caso ed anche qualcuno in più, se da Madrid dovessero infischiarsene della Recompra paventata dai nostri giornalisti terroristi e se Paulo sbocciasse, come il valore assoluto del giocatore lascia intravvedere, potremmo goderci un gran bel tandem almeno fino ai Mondiali invernali...
La storia a volte si ripete, a me piacerebbe se questa volta riuscissero a riscriverla. 
Così com'è attualmente ci sta piacendo poco. Era prevedibile, abbiamo cambiato il regista ma una Joya, prima o poi, ci aiuterà.



f.a.



lunedì 19 ottobre 2015

Rush!

I numeri sono indegni.
La posizione in classifica, anche.
Attenuanti tante. Infortuni, modulo, rinnovamento, adattamento. 
Tutto vero. Ma dopo due mesi di campionato nessuno si sarebbe aspettato una situazione così. 
Udinese, un assedio sterile. Un contropiede, un gol subito. Zero punti.
Roma, passività e nessuna identità, paradossalmente meglio in 10 che in 11. Zero punti.
Chievo, gol subito al primo tiro, primo punto in classifica.
Genoa, vittoria contro 10 uomini, senza brillare ma finalmente i 3 punti.
Frosinone, un palo subito, un gol da fermo in pieno recupero, un punto.
Napoli, poco in partita, altra sconfitta giusta. Come contro la Roma.
Bologna, primi 3 punti in casa dopo aver subito gol ancora al primo tiro.
La sosta, qualche uomo recuperato, altri nuovamente acciaccati.
Inter, un legno a testa, tanta paura, un punticino più da bicchiere mezzo vuoto.
La svolta tarda ad arrivare. Eppure il mercoledì europeo ci regala gioie, illusorie, ma determinanti per il cammino in Champions. Lì è diverso, come al contrario succedeva gli anni passati. 
Sarà Berlino, saranno gli avversari, sarà che lì il concetto di sazietà non esiste.
Ma arrivare a Milano, al momento, oggettivamente pare utopico.
In campionato solo 9 gol fatti. Sarà l'assenza del quasi capocannoniere della passata stagione, di uno dei centrocampisti centrali più prolifici d'Europa e dell'inventore unico dell'ultimo passaggio (e non solo)... Sono però arrivati una giovane Joya pagata abbastanza, ed una garanzia croata che qualche gol l'ha sempre fatto tra Bundes & Liga. 
La fonte di gioco manca, è mancata e forse mancherà anche quando proverà a reincarnarsi stabilmente nei piedi di Marchisio. Ottimo ma diverso dal come ci eravamo abituati nel quasi ultimo lustro.
Dietro i soliti Leoni. Dal più anziano, il Capitano, la faccia e ancora l'anima della squadra. Peccato non possa infondere carisma e personalità nel centro del campo, come faceva nella categoria esordienti. 
Fortunatamente fa ancora benissimo il suo ruolo e se non ci fosse stato lui forse staremmo parlando di qualcosa di ancor peggiore, se possibile.
Barzagli, dopo un'annata di riposo forzato per gli infortuni, è tornato il muro apprezzato nel triennio Contiano. Gli altri due, talvolta distratti, tengono ancora bene, vivendo però spesso di rendita.
Avanzando nei reparti, troviamo quei 3 che solo ieri hanno giocato insieme. Prima volta da luglio, dal ritiro estivo. Si faranno. 
Chi mi preoccupa è colui che indossa la 10. Dovrebbe essere la certezza, la linea guida. Invece è diverso, meno sfrontato e più complessato, mentalmente bloccato, fisicamente in ritardo. Si pensava potesse sovrastare chiunque, prendendosi una leadership naturale che i guizzi passati sembravano giustificare. Invece no. Per ora no. Per ora i tifosi pensano che 100 milioni, in un'annata così rinnovata, avrebbero permesso acquisti funzionali per l'imminente futuro che volente o nolente lo vedrà comunque lontano da Torino.
A destra l'affare, in prestito. Un colombiano impazzito, al quale non si può però affidare il nucleo del mondo. Ogni azione utile o forzata passa dai suoi piedi, educati non fatati, troppo prevedibili se ricercati ossessivamente. 
Il lato opposto continua a presidiarlo un insostituibile del Mister. Uno che ha macinato davvero tanto nella decennale carriera oltremanica, intelligente ed umile, uomo e campione ma non più pronto a sostenere fasi così delicate e sprementi in novantacinque minuti per almeno due volta alla settimana. Così si è investito tanto su un esterno in scadenza, pagandolo abbastanza, il quale sembra stia diventando un caso. 24 anni, sprint e piede, forza e dinamismo. Forse non sarà ancora pronto, preghiamo lo sia presto. Del trequartista non parliamo più perché il Tucumano era già in rosa, e penso abbia poco da invidiare al Profeta arrivato in extremis più per tacere i mugugni del popolo che per evidente rafforzamento tecnico. Detto questo, in base alle scelte fatte, credo che il ruolo del 10 lo vedremo abbastanza raramente schierato. Nonostante un'estate di snervante ricerca. 
Dei delanteri ho già detto. Si è unito anche Zaza, lottatore generoso dal sinistro caldo, ancora acerbo per prendersi la squadra sulle larghe spalle e portarla lassù dove si potrebbe. 
Si è acquistato per rimpiazzare, si è abbassata e bene l'età così come il monte-ingaggi. 
I ricambi rendono la squadra più lunga della passata, anche se per ora gli infortuni hanno invalidato ogni idea di rosa profonda.
I titolari però, ad oggi, restano distanti dai partiti. 
Non so cosa aspettarmi dal futuro, i valori restano molto buoni, l'amalgama resta lontana così come i capoclassifica. 
Bisognerà correre e rallenteranno lassù. Non so quanto però riusciremmo ad accelerare noi senza più toccare il freno. 
Non frenare è generalmente pericoloso ma a noi serve davvero non farlo più. 



f.a.



mercoledì 30 settembre 2015

Viel Glück Licht.

confusione, sfiducia, discontinuità.
dopo Manchester sembrava fosse arrivata la svolta.
a Marassi si vince, conseguendo il primo mini-ciclo della stagione. l'unico, fino ad oggi.
l'infrasettimanale con il Frosinone una doccia gelida.
ultima la sconfitta del San Paolo, più rotonda del risultato finale.
105 tiri per segnare 5 reti, 5 punti in 6 partite. numeri eloquenti, evidente che più di qualcosa non vada.
sfortuna, infortuni, traverse, addii, giovani, rinnovamento, crisi del secondo anno, forse un po' di tutto per un mix negativamente atomico.
la formazione ideale mai scesa in campo, infortuni senza sosta ed ultimi incidenti evitabili.
degli addii si parla ancora, dimenticando quale fosse la volontà dei partenti.
oggi non si può rimpiangere Coman guardandolo all'opera nella squadra più corale del mondo.
la società ha investito tanto. sinceramente credo si sarebbe potuto fare meglio. ma assolutamente non si è sbagliato abbastanza per giustificare una pena simile.
non si tratta di esonerare un allenatore, si fa quel che si può con il materiale a disposizione, magari pensando a come intervenire a gennaio. ad oggi mi sembra chiaro che qualcosa stia mancando, causa valutazioni estive non totalmente azzeccate. non in avanti perchè quando ci sarà la condizione si segnerà più spesso e molto
volentieri. non dietro, pensare che ci sia ancora il piccolo Rugani senza aver mai visto il campo e Alex Sandro impiegato con un contagocce difettoso.
evidentemente a centrocampo, un po' ovunque. un vice Marchisio ed un vero trequartista sarebbero ben accetti. sulla fascia destra è arrivato Cuadrado ma difensivamente parlando serve qualcosa. Lichtsteiner, dopo 4 anni usuranti, sarà sottoporto ad importanti accertamenti per presunti guai al cuore. che l'allarme rientri presto è la speranza.
poi Caceres troppo fragile muscolarmente ed ora anche fuori rosa per la bravata di lunedì sera, non un comune lunedì sera.
queste assenze rendono obbligate le scelte tattiche e tecniche.
come dare la colpa ad Allegri per questo?
rientreranno gli infortunati, arriveranno i gol e speriamo le vittorie.
sapete l'unica cosa attualmente in grado di riportare questa squadra lassù dove le compete?
non un numero o un ruolo, una cresta o uno scarpino colorato ma solo testa e cuore.
ce li hanno tutti i tesserati presenti. serve solo ritrovarli, rieducarne il riutilizzo ed apprezzarne il ritorno. sanno come si fa.
partiamo da oggi, è il giorno giusto.
uniti tutti, compresi i detrattori e quelli sul carro, quelli giù dal carro, gli aziendalisti ed i fantallenatori.
 #finoallafine.



f.a.


sabato 29 agosto 2015

Au Revoir, Kingsley.






 "è necessario un rinnovamento intelligente", dicevano. oculato, preciso, studiato ma comunque rischioso. tutto vero!
necessario svecchiare la rosa, un obbligo per tenere vivo un ciclo pluriennale.
alcuni parlano di involuzione tecnica e carismatica. dalla dirigenza giustificano il tutto, dicono siano giovani ma adeguati.
i giovani d'oggi, quelli che costano cari. dagli ufficiosi 100 di Pogba, ai 70 di Sterling, agli 80 per De Bruyne, ai quasi 40 per Dybala. il mercato è così. giovani dal futuro d'oro, quasi assicurato. investire certe cifre su ventenni potenzialmente top, resta comunque e sempre un rischio.
rischio acquistare e rischio, in tempi di crisi in cui i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, è cedere, a qualsiasi cifra sia.
da noi, nel nostro orticello, parlavano di progetto e di una squadra giovane, di grande qualità per conseguire quei titoli per i quali da sempre lottiamo, fino alla fine.
ieri poi è toccato salutare un colored con una trecciolina biondo-pallida, sempre ai margini ma sempre in vetrina, un diciannovenne preso per meno di un caffè; uno che potrà spaccare il mondo come quel tormentato ricordo di Thierry, o che potrà fare la fine di un Gourcuff o di un Rothen. a 28 milioni, tra prestito e riscatto, al club al quale hai già dato Arturo, al servizio del miglior allenatore del mondo.
ed il progetto di cui si parlava? no, il progetto prevede degli imprevisti e delle offerte irrinunciabili. per 28 milioni complessivi Coman, oggi è giusto darlo via. 19 anni, oggi. ma Coman, tra due anni, che prezzo avrà? che giocatore sarà? quello sulla strada del precursore Titì, o quello degli altri presto dimenticati?
Kingsley ha giocato una manciata di minuti in finale di Champions, quando non c'era più nulla da perdere; ha giocato nella finale di Supercoppa Italiana, e domenica scorsa all'esordio, senza lasciare traccia. ha fatto però intravedere lampi importanti quando in palio c'era poco o nulla, l'anno scorso. lì si è esaltato, doppiando avversari e mostrando un gran feeling con gli assist ed un rapporto da coltivare con il gol.
non è un semplice funambolo da allenamento, è semplicemente un giocatore che si deve formare, deve crescere, deve giocare. al Bayern lo farà poco, o comunque Ribery permettendo, salvo imprevisti ed impetuose esplosioni.
magari poi i bavaresi lo presteranno, forse a quelli che ora vendono KDB a 80 milioni, facendo così una plusvalenza doppia rispetto alla nostra.
il mercato sembra diventato uno scouting continuo alla ricerca della plusvalenza migliore.
poco importa se, noi da casa, avremmo fatto o meno certi acquisti e certe cessioni.
per fare il Manager di mestiere ci vogliono capacità, doti, ed amore per il rischio a cuor leggero, tanto i soldi investiti o buttati, sono sempre di terzi. solo che poi si paga sulla propria pelle il futuro in base ai frutti del lavoro fatto.
a Torino hanno voluto rischiare. ma loro hanno una visione complessiva e globale imparagonabile rispetto alla nostra. devono far quadrare i conti, devono portare risultati, devono accontentare tutti all'interno del club.
l'obbligo che invece chiediamo noi, semplici tifosi esigenti, è quello di continuare a vincere. le parole progetto, svecchiamento, rinnovamento, plusvalenza ci interessano poco. ci interessa di più vincere sul campo. alla fine, è l'unica cosa che conta.


f.a.

sabato 22 agosto 2015

bentornato campionato.



è il giorno della Serie A, un nuovo inizio, atteso come un Capodanno.
dopo 4 anni a forti ed intense tinte bianconere, tifosi e giornalisti appassionati delle sorelle, o meglio cugine dei bianconeri, riprendono a sognare. vedono l'obbiettivo più vicino, dopo un poker straordinario, dopo una Berlino beffarda, dopo gli addii di 3 tenori. anche il mercato delle altre, rende il pensiero del gap diminuito più consistente.
da oggi parlerà il campo, esclusivamente nello stretto spazio dei 90 minuti. un minuto prima, un minuto dopo, si parlerà dei nuovi arrivi, dei pezzi dei puzzle mancanti. a Torino aspettano la ciliegina, pensano notte e giorno a quella. sempre che allo Stadium, domani, non ci siano sorprese. a quel punto, tutti, juventini e non, storcerebbero bocca, naso e sopracciglia prima di esternare un quanto mai prevedibile "lo sapevo".
gli addii illustri, tutti obbligati e fisiologici. gli arrivi dispendiosi, all'insegna di un ringiovanimento intelligente e necessario. il parametro zero già ai box, in un reparto indebolito, in un ruolo che definir delicato è un eufemismo. poi gli altri stop: Barzagli e Chiellini, Morata e Marchisio. mica spiccioli.
nel mezzo una Coppa alzata, quella di Shanghai, passata troppo in secondo piano. due gol dai nuovi. i titoli però sono sempre per i vecchi e per i futuri, probabili o impossibili inclusi. in settimana è arrivato, non in saldo, un rinforzo notevole, Alex Sandro. rinforzo fresco, pronto, e soprattutto con tanto futuro davanti, sicuramente da Top assoluto nel ruolo. ma a confermare un'estate mediaticamente quasi tormentata, la voce insistente del Chelsea su Pogba. oggi, ora, a qualche ora dall'inizio, a due settimane scarse dalla fine del mercato. Cento milioni oggi, hanno una potenza di fuoco comparabile a 30 ad inizio mercato. il tutto poi dopo avergli dato, dietro richiesta, l'ambitissima numero 10!?
del mercato non vi è certezza, ma il raziocinio penso prevalga. è comunque stato uno dei mercati più caldi che io ricordi.
domani, però, finalmente parlerà il campo. un nuovo inizio, sperando che si riparta nel migliore dei modi.
poi ripenseremo, senza negarlo a quella curiosità insaziabile di vedere la rosa chiusa, il mercato finito. ritrovarci tra due settimane contenti per l'ultimo colpo, speranzosi dopo un buon inizio, affamati come sempre. le cugine vorrebbero diventare sorelle. non fidiamoci, dicono che spesso i parenti siano serpenti.


f.a.

giovedì 23 luglio 2015

Suerte.

Morto un papa se na fa un altro, dicono.
Personalmente non ho mai apprezzato troppo questa espressione. A maggior ragione quando i Papi, non morti ma con nuova residenza, sono ben 3.
Il Maestro volato negli States ad insegnare calcio; Carlitos vuelto a casa per la gioia della Baires boquense; l'ultimo cronologicamente, il Mangiaterra che diventerà presto König in Baviera.
Despedide importanti. Una fisiologica, una già annunciata, l'altra non insospettabile ma comunque non facile da digerire.
Il partito degli aziendalisti si sfrega le mani davanti ai 40 milioni in arrivo da Monaco. Liquidità, forse, presto utilizzata per l'acquisto di quel fantasista degno mancante dai tempi del sommo Zizou. Tanti soldi per noi comuni mortali, non abbastanza per trovare un profilo da godimento assoluto.
Io sono poco aziendalista. Più viscerale, emotivo, e nemmeno con la memoria corta. Quella cresta mi mancherà, ancor più di quanto mi mancherà poi l'altra cresta, tra un anno. Perché per 100 milioni anche io inizio ad aziendalizzarmi. Tornando ad Arturo, mi mancherà il suo ego, l'efficacia del suo tackle poco legale ma corretto, il suo cuore disegnato da indici e pollici, così come mi mancherà la sensazione di non aver paura ogni qualvolta il gioco si farà duro. A 28 anni, dopo 4 annate di spremiagrumi, con un ginocchio ammaccato, migliaia di km per la causa bianconera, penso sia giusto che abbia voluto cambiare scegliendo uno dei tre 3 club irrinunciabili oggi al mondo. Sono cresciuto col mito del 10, del finché morte non ci separi per cui metabolizzo con netto ritardo un addio. Ma nel calcio di oggi quasi mai va più così, ma segue una maniera molto poco romantica.
Quei 3 tutti insieme, sarà dura abituarsi. Quello con la barba e l'arte nei piedi, quello con le cicatrici e la garra innata, e poi Arturo.
Tre leader, tre trascinatori. Tutti diversi, tutti decisivi, tutti campioni.
Sarà come l'anno zero.
La ripartenza dovrebbe comunque essere dolce. L'oculatezza e la lungimiranza non dovrebbero mancare alla nostra dirigenza, pronta ad allestire un roseo futuro.
Scopriremo presto se gli investimenti fatti e prossimi, potranno divenire presto nuovi beniamini dei tifosi.
Attenderemo curiosi e speranzosi come bambini, ma anche un po' golosi come gli adulti nell'attesa di adorare e poi assaggiare la ciliegina sulla torta.
Suerte a loro, Suerte soprattutto a noi. 

f.a.

mercoledì 24 giugno 2015

Good Luck Maestro

ho sempre sentito dire, da qualcuno più esperto di me, che di giocatori così ne nasca uno ogni 20-30 anni.
non avendo la giusta esperienza anagrafica dalla mia, mi esimo dai confronti.
mi limito quindi alla spassionata ode verso il nostro sommo giocatore.
un bresciano precoce, già esordiente ad appena sedici anni in quello che all'epoca era riconosciuto come il miglior campionato del mondo.
a quell'età quasi tutti i comuni mortali, ma non solo loro, calcano i campi nella categoria allievi, inseguendo bellezza e fama.
lui a diciassette anni si imponeva in cadetteria, a diciotto concludeva la prima vera stagione nella massima serie. una retrocessione non gli impedisce di attirare le attenzioni dell'Inter, la sua prima importante avventura. complice una fase storica travagliata per la compagine nerazzurra, vola fino a Reggio Calabria per farsi finalmente apprezzare. poi il ritorno alla base prima del prestito invernale verso Brescia. a casa sua. Mazzone gli cambia il ruolo, arretra il suo raggio d'azione, rende possibile la compresenza di Andrea e di Roberto Baggio. diventa un play-maker, un regista atipico.
lì sembra esplodere, prima di infortunarsi e terminare anzitempo la stagione.
in quell'estate fa ritorno a Milano ma sull'altra sponda, acquistato dai cugini rossoneri.
l'inizio non è dei migliori, fatica a trovare spazio e collocazione in mezzo a tutti quei campioni. Ancelotti poi decide di prendere spunto dall'intuizione mazzoniana, riproponendolo vertice basso del suo rombo. sarà la fortuna di entrambi, per quasi un decennio. trionfa due volte sul tetto d'Europa, nel mezzo perde la finale di Istanbul, diventa immortale nel mondiale tedesco con la Nazionale.
colleziona più di 400 presenze in rossonero, andando a segno una volta ogni dieci incontri.
sembrava una storia d'amore non destinata a finire, imprescindibile per entrambi.
ma nell'estate del 2011, a trentadue anni, il non rinnovo del contratto porta alla rottura del rapporto. l'infortunio dell'ultimo anno sembrava avergli fatto perdere la titolarità ed il futuro nelle gerarchie nei freschi campioni d'Italia.
le lacrime per l'addio e gli abbracci dei compagni. poi le ipotesi future. le prime sirene extraeuropee, vicine e lontane dal calcio che conta, ricche abbastanza per far vacillare chiunque.
ma con un Europeo da conquistare e la volontà, forte, di dimostrare l'integrità e l'indiscusso talento ha deciso di sposare il progetto Juve.
una nuova grande sfida, in una squadra titolata ma da rifondare dopo due settimi posti consecutivi.
la scelta giusta per ripartire, per tornare grandi, insieme.
quattro anni, altrettanti scudetti. in quattro anni, 164 partite. in quattro anni pennellate incantate, ovazioni meritate in uno stadio nuovo e bello, pendente dai suoi piedi, dalle sue magie.
avrebbe voluto chiudere in bellezza, confezionare uno storico triplete, realizzare un sogno, terminare in lacrime di felicità questa storia d'amore tardiva ma ricca di passione. ma hanno vinto gli altri.
non l'ultima coppa, ma gli applausi scroscianti di un pubblico innamorato da sempre dei grandi interpreti, fiero di aver potuto esultare per le prodezze mature del fuoriclasse Pirlo.
pensare che già quattro stagioni fa' fosse arrivato etichettato come un giocatore finito, pronto per svernare in lidi più caldi e non di certo per percorrere una decina di chilometri a partita, fa' un certo effetto.
è lento, si diceva. vero, ma sempre pensa il doppio più velocemente rispetto a tutti gli altri. caratterizzante, pacato, rilassato, mai tagliente se non nelle sue parabole, troppo poco sorridente con la stampa, non con i suoi compagni.
estraneo al divismo, anomalo e non fisicato, educato, difficilmente un'icona, sicuramente unico.
ha reinventato un ruolo, viene chiamato The Maestro, difficilmente sarà sostituibile, sicuramente non sarà paragonabile. di giocatori così, non ne nascono più.


f.a.

giovedì 18 giugno 2015

il peggio deve ancora venire?

il post-Berlino non è stato dolce.
prima la Coppa che balla tra le mani dei favoriti, poi le lacrime dei protagonisti sconfitti sul campo.
da tifoso ed osservatore ecco d'impatto la delusione e le lacrime, poi il riconoscimento della superiorità blaugrana prima della fierezza per una squadra che ha fatto forse il massimo.
il massimo inteso come crescita maturata nell'intera competizione. dalle critiche dopo Atene al risveglio ruggente sotto la pioggia contro i greci. dall'esaltazione ed il salto di qualità a casa di Klopp alle prestazioni di dubbia qualità contro i monegaschi. il resto dal Real in poi è storia.
pazienza per la sesta finale persa in Europa. non sempre vince il più forte, ma a Berlino non è andata così.
dal day after con l'analisi delle lacrime di Pirlo e di Morata, prima delle medaglie orgogliosamente respinte, si parla ininterrottamente di quello che sarà l'immediato futuro.
la fuga di Carlitos, verso i soldi o verso il cuore, le aste milionarie esagerate per Pogba, la possibile cessione di Vidal, la recompra immediata di Morata ed infine lo svecchiamento della squadra.
nel mezzo le ufficialità degli arrivi di Dybala e Khedira, che in qualche modo sembrano certificare le partenze di qualcuno dei sopraccitati.
certezze e speranze dei tifosi vengono tempestate e ribaltate quotidianamente.
prima della finale di Berlino si parlava di una valigia piena di soldi, garantita dai premi europei, in grado di pareggiare o almeno limare il gap con le big, per confermarsi nella prossima primavera ancora in lotta sui tre fronti. poi Berlino ha cambiato tutto. Pirlo finito e di corsa verso i Dollari, Tevez da Madrid a Parigi a Buenos Aires in ordine sparso, Llorente a Monaco a Valencia o Londra, Morata e magari Bonucci a Madrid, Vidal dall'amico Sanchez a Londra.
tante possibili partenze (ad oggi nessuna) tantissime possibili entrate. in mezzo il vecchio motto, che risuona di sconfitta, il "non si compra se prima non si vende", poi "l'ossatura rimarrà intatta", "il bilancio prima di tutto", "spenderemo per far crescere una rosa difficilmente migliorabile" ... tante parole, troppe parole. maledetti giornali.
realisticamente, ad oggi, con questa stessa squadra sarà molto difficile riconfermarsi.
la prima certezza ad oggi sono i due arrivi più Rugani, che con la teorica ma improbabile rosa confermata in blocco migliorerebbero collettivamente la squadra.
l'altra certezza è la presenza del tesoretto europeo, ma a cosa poi siano effettivamente destinati la gran parte di quei soldi lo sanno solo gli addetti ai lavori bianconeri.
ci sarebbe un'altra certezza, ma esprime un mio pensiero. Marotta e Paratici hanno speso negli anni un bel gruzzoletto. per assurdo i migliori affari li hanno fatti a bassissimo o basso costo. l'ultimo in ordine di arrivo potrebbe essere l'aver tesserato Khedira a zero euro. lampante e disonesto sarebbe non riconoscere a quei due di aver costruito, sulla carta, un centrocampo top con 11 milioni totali circa, Pereyra escluso. geniali!
dopo i meriti però, arrivano i dubbi legati agli investimenti di ingenti somme. qui i due dirigenti hanno mostrato in passato più di qualche difficoltà. in quasi tutti i casi gli esborsi milionari non hanno portato a risultati positivi. oggi, probabilmente, sarà più difficile incappare in errori grossolani, sia per l'esperienza acquisita dagli errori del passato sia per il ritrovato appeal del brand bianconero. le prestazioni fuori dal campo dei due dirigenti saranno decisive per la crescita e la conferma di questa squadra. il mercato è un mondo strano, le botteghe care sono in aumento così come i flop. ci sono tanti ottimi giocatori alcuni dei quali avviati verso il viale del tramonto, che accetterebbero ben volentieri una proposta bianconera. farsi attirare dal nome e dal passato di questi sarebbe ingannevole e dannosissimo. la strada da percorrere penso sia un'altra, opposta.
la pazienza, la programmazione, l'intuito ma soprattutto la volontà di migliorarsi e non sedersi, per ritrovarsi ad aprile con l'obbiettivo Milano ancora vivo. il peggio deve ancora venire se si lavorerà con l'idea di non cambiare ma al massimo di rimpiazzare.
il meglio invece dovrà ancora arrivare se si lavorerà benissimo in questa finestra di mercato e se, a sorpresa, in quella primavera pre-Europeo saremmo ancora lì a riconfermarci e, perchè no, a migliorarci.


f.a.

sabato 6 giugno 2015

Carlitos y el Jefecito.

avversari prima, compagni poi, amici sempre.
oggi sarà per loro come un Superclàsico, forse più importante di quella prima semifinale di Libertadores del 2004, appena ventenni.
oggi ci si gioca di più. inseguono la coppa più importante del continente, quello che li ha consacrati.
due leader naturali, due combattenti nati.
compagni e vincenti nel Corinthians del 2005, prima del grande salto europeo verso il West Ham, obbiettivo la salvezza in Premier. poi le due sponde di Manchester per Carlitos, Liverpool per Javier. oggi i trionfi italiani con la Juve per il Brigante e le vittorie infinite con il Barça per il piccolo Jefe.
ora la finale di Champions, per suggellare due carriere fantastiche. festeggerà solo uno ma l'altro, lo sconfitto, sarà uno degli ultimi a mollare. è la loro indole, il loro essere.
tutto il mondo Juve depone le proprie speranze di vittoria nell'Apache. i Blaugrana invece hanno l'imbarazzo della scelta, un talento illimitato ma oggi, là dietro, servirà il miglior Mascherano per provare a sterilizzare gli attacchi Apache.
sarà forse l'ultimo grande duello nel vecchio continente per questi due combattenti del pallone.
poi torneranno a casa ma il pensiero del Superclàsico, oggi, passerà in secondo piano.

f.a.


venerdì 5 giugno 2015

self-made man.

quella partita si sogna fin da piccoli. che sia asfalto, erba, terra battuta o un corridoio di casa.
con la pioggia e con il sole. basta un pallone e l'immaginazione sconfinata di un bambino. l'emulazione dei propri eroi in qualsivoglia occasione.
a qualcuno poi capita che quel destino elitario trasformi quel sogno in realtà. nel mezzo sono passati anni, magari lunghi e difficili, di sacrifici e soddisfazioni, ma quel giorno sognato ora ha una data, ora è reale.
chissà come ci si sente nel vivere quell'attesa, quel passaggio immaginato e magari disatteso per lunghi periodi. non tutti nascono fatati nei piedi, aggraziati nei movimenti e pronti a coltivare quelle doti naturali che possano di diritto assicurare l'accesso verso certi palcoscenici. in tanti, la maggior parte di quelli che ce la fanno, devono percorrere chilometri sacrificanti, percorsi ad ostacoli difficili da raccontare, tortuosi oltremodo. l'abnegazione e la voglia di emergere fanno la differenza quando non si nasce virtuosi del gioco. il bello però è che il calcio può regalare storie così. può mettere sullo stesso tavolo i baciati dal divino ed i sognatori testardi. in quello scontro poi nessuno sa mai cosa effettivamente succederà.
può anche succedere, però, che nell'attesa di quel giorno, quando gli ostacoli prima dell'atto sembrano finiti, e ci si prepara concentrati per l'ingresso in campo, possa arrivare un imprevisto. un altro, magari l'ennesimo, sicuramente il più fastidioso da sopportare.
a quelli come te nessuno regala mai niente. negli errori e negli elogi. ti sei fatto da solo. tanto lavoro, lo studio fino alla laurea in economia, professionalità e un'immensa caparbietà. i tuoi dogmi, e anche oggi, anche domani li seguirai. salirai comunque su quell'aereo per raggiungere la destinazione. ti preparerai mentalmente insieme ai tuoi compagni, gli darai forza, gli infonderai un po' del tuo immenso coraggio, quello che ti ha portato di diritto a giocarti una partita così, prima di quel grande imprevisto. non indosserai quelle bullonate, e nemmeno quella vistosa benda bianca dopo un generoso scontro di gioco. metterai la camicia bianca, un abito impeccabile e sarai lì a pochi metri da quel palcoscenico chissà quante volte fantasticato.
un bambino ha il diritto di sognare, un uomo che ha lottato anni per rendere quel sogno innocente una realtà non dovrebbe incappare in questi maledetti scherzi del destino. ma va così. dopo una salita c'è sempre una discesa. speriamo già da domani, dopo quel fischio, di sentirti esultare sotto un cielo ancora una volta azzurro. sarebbe bello, sarebbe un sogno, forse sarà realtà.


f.a.

mercoledì 3 giugno 2015

el hombre en vertical...

ventidue anni, fino all'ottobre prossimo.
casualmente o no, alla seconda finale europea consecutiva.
in un solo anno però è cambiato tutto.
il maggio scorso era ancora un semplice adepto in quella Casablanca da copertina, nella conquista di quella "decima" nella notte di Lisbona.
oggi, a tre giorni dalla finale di Berlino, cova la speranza di matare i suoi rivali del cuore, i blaugrana.
dal Castilla alla Juve, da mister Toril a mister Allegri, passando per Mourinho e Ancelotti.
dalla sub-17 alla nazionale maggiore di Del Bosque.
ieri meteora, oggi rivelazione e certezza, lontano da casa, lontano dalla sua Madrid.
sorridente ma timido, più futboleros che studioso ai tempi della scuola. preferiva il pallone e talvolta la racchetta ai libri. una bocciatura scolastica gli impedì di aggregarsi alla cantera colchonera, allora continuò così a segnare per il suo "Colegio el Prado". caterve di gol e un istinto irrefrenabile, correre veloce verso la porta. solo o accompagnato non ha mai fatto differenza, l'obiettivo per lui è sempre stato far gol. a nulla sono servite le punizioni del suo allenatore dell'epoca, la panchina anche dopo una prodezza in assolo, Alvaro è rimasto così. controlla la palla con uno stop orientato e scatta verso la porta. in spagna definiscono Hombre Vertical colui il quale non scende mai a compromessi, sostiene le sue idee senza piegarsi mai. evitando tesi troppo ardue per l'argomento trattato, mi prendo la licenza poetica di definire il nostro come Hombre en Vertical. elegante, corre spensierato verso l'obiettivo. poco importa se in quel momento sarebbe più giusto fermarsi e non creare quello strappo, quel vuoto che si lascia dietro, di compagni ed avversari. madridista sin da piccolo, sognava Raul, assomigliava a Morientes, spiava Ronaldo, ma non immaginava di dare un dispiacere grosso così al suo ex pubblico, che mai ha avuto modo di apprezzarlo per quello che è oggi, se non da avversario. lui, rispettoso oltremodo per quel colore, non esulta, ma è fiero dentro, per essersi rivelato a tutti. difficile imporsi al Real, per un bomber canterano troppo sorridente ma timido, ed emergere in una squadra di star e davanti ad un pubblico troppo esigente. la sua missione non è finita. forse un giorno tornerà da protagonista a casa per rialzare quella coppa, non da adepto ma da Matador. sabato però, quei tifosi che non più di tardi di tre settimane fa lo fischiavano rabbiosi in quanto sue fresche vittime, tiferanno per lui, contro i rivali storici. Alvaro potrà esultare, consapevole che farebbe felici tutti. quelli che nel maggio scorso festeggiavano la decima dopo un inseguimento durato 12 anni, e quelli che da 12 anni attendono una soddisfazione immensa dopo la delusione nella finale italiana di Manchester. glielo chiederà soprattutto il suo Capitano, per riempire una bacheca straordinaria ma incompleta; gli dirà di correre veloce verso quella porta, promettendogli che stavolta, dopo un golazo, il suo vecchio Mister Josè Ruiz non lo punirà, lo applaudirà!

f.a.

venerdì 29 maggio 2015

da Mangiaterra a Rey.



non sapevo che tra i vari soprannomi affibbiatigli ci fosse anche Celia Punk.
in onore della sua cantante preferita, l'icona cubana Celia Cruz. Conosciuta ed apprezzata nel mondo, latino prima ed occidentale poi, per il suo spirito ottimista ed orgoglioso oltre che per il suo ritmo.
ed il Guerriero di cui parlo, incarna quelle peculiarità del suo idolo musicale prendendone anche il lato poliedrico che caratterizzano il personaggio.
ho scoperto che un suo Zio, tale Ricardo, lo chiamava Mangiaterra ogni volta che rientrava a casa, sporco com'era dopo le partite al campetto.
bello saperne di più, apprendere nuove curiosità, ma preferisco optare per un semplice Arturo.
non siamo amici, ma è come se lo fossimo. penso che sarebbe stato il mio compagno di squadra ideale, colui che vorrei sempre con me per portarmi a casa le partite. sono sicuro che perdere non gli piacerebbe nemmeno durante una partita con suo figlio Alonso a "frutti, cantanti, colori e città..."
passerei la partita a spronarlo ed incoraggiarlo, guidandolo come sovente mi capita di fare durante le partite bianconere. come il suo vecchio mister disse, in un'intervista di un maggio fa', anche io lo porterei in guerra. guerra però è una parola forte, ed uno duro ma corretto come lui penso non si troverebbe troppo a proprio agio. è ruvido e roccioso, ma sorride sempre. come potrebbe uno con la sua storia non sorridere durante il gioco ?!
famiglia numerosa e povera, nel quartiere più popolare tra i quartieri popolari di Santiago, genitori separati a cavallo dell'adolescenza, troppi pochi soldi e tanti sacrifici. poi è cambiato tutto, come nelle favole più belle. ma è sua madre Jaqueline a raccontare che il toy di suo figlio, quando non era tra i suoi piedi è perchè lo stava cercando in qualche angolo. ed è apprendendo questo aneddoto che mi accorgo che in fondo la storia non è cambiata.
da quell'11 settembre nella sua prima volta in campo al posto del Capitano. qualche minuto di assestamento prima del suo salto con pugno al cielo sotto la curva.
sono passate 4 stagioni, più di 170 partite, una cinquantina di reti.
ogni anno è cresciuto nei cuori, negli applausi e nei cori. la cresta sempre più delineata, qualche nuovo tatuaggio, poche grane fuori dal rettangolo.
gli articoli giornalistici che lo inquadrano come bad boy ma Arturo, nonostante le apparenze, è sempre come lo ricordano negli anni del Rodelindo, in quel letto di pietre, teatro dei suoi sogni.
io, Arturo, non lo venderei mai, me lo terrei stretto e forte, sopportando anche quelle fasi in cui sembra stanco ed appesantito perchè tanto poi lo so che si porterà le mani alle orecchie, poi con quelle stesse mani disegnerà un cuore, lo mostrerà alto, e l'urlo dei tifosi sarà più forte di prima.
uno come lui i tifosi lo inneggeranno sempre. io, quella 23 gliela marchierei sopra, come fosse un nuovo tatuaggio.
si sarebbe dovuto chiamare Erasmo, come suo padre. un nome da intellettuale ed importante, da viaggiatore per bisogno e necessità. se andrà via, sarà perchè forse la sua indole prevarrà, perchè vorrà andare a farsi amare da un altro popolo di tifosi in cerca di beniamini.
se Berlino fosse dolce, come quella notte azzurra di nove anni fa', quel Carnaval a lui tanto caro glielo potrei concedere, a malincuore, ma lo farei. o forse no.
lo vorrei però vedere mascherato da Campione d'Europa, da Rey Arturo incoronato, sostenuto dalla sua hinchada storica, e dal popolo juventino.
del resto a Carnevale si può diventare chiunque si voglia, e se proprio deve andare, che lasci in regalo la Orejona mas linda. io però, fino alla fine e comunque vada, sarò tra quelli che intoneranno sempre "non si vende Vidal".


f.a.