lunedì 6 novembre 2017

l'importanza di chiamarsi Bonucci.

mesi di assenza nei quali avrei voluto scrivere, parlare ed anche sfogarmi.
da Cardiff in poi, da quella finale che ancora non ho totalmente metabolizzato.

ieri, poi, un'illuminazione. capace finalmente di allettare la mia vena scrittoria.
vedere Leonardo in tv sorridere, un po' più umano e meno impostato di come, troppo spesso, risultava essere da qualche mese ad oggi.
ma come Leonardo? quello che ci ha lasciati mesi fa, per "spostare equilibri" sulle rive dei Navigli? si, Lui.
strano come abbia mosso in me la volontà di buttare giù qualche riga dopo mesi passati ad ignorarlo, a non considerarlo, magari solo un po' a sfotterlo per qualche battuta a vuoto.

Leo arrivò nel 2010, per quindici milioni.
belle speranze in un momento storico orribile.
il primo anno lo ricordiamo in tanti, altri hanno provato giustamente a dimenticarlo.
lui in primis ce l'ha fatto scordare, crescendo e maturando esponenzialmente con Conte,
plasmandosi e confermandosi con Allegri.
nasceva libero, quello vecchia maniera. lezioso, appariscente ed abile nell'inizializzare l'azione. ma grezzo.
diviene riconosciuto globalmente come colonna della BBC,  supponente e caratterizzante.
spesso, per gli altri, logorante.
una bella faccia, una bella moglie e dei bei bambini. un quadretto familiare invidiabile ed invidiato.
l'umanità mostrata e contraccambiata in un momento difficile per la sua famiglia.
l'abbraccio virtuale di un popolo, non solo bianconero, che ormai lo riconosceva quasi come un Totem.
uno corteggiato da Guardiola, uno che finisce nella top 11 della Champions, uno che perde due finali in 3 anni ma che vince 6 scudetti quasi con la sigaretta in bocca. uno con il primogenito che esulta ai gol del Gallo Belotti. quello che Lippi individuò nel 2010 come futuro baluardo azzurro. quello che a Milano viene accolto in pompa magna come si fa solo per le rock-star, nella stessa città dalla quale scappò anni addietro, cercando fortuna e dimensione in cadetteria.
a San Siro oggi dovranno però accoglierlo deresponsabilizzandolo un po' da quell'aura mistica cucitagli addosso a luglio.
da qui Leo ripartirà. da ieri, Leo è ripartito. ma non gli basterà per trionfare. servirà tempo, ma a 30 il tempo c'è ancora e gli auguro i migliori riconoscimenti personali, non i trofei di squadra.
eppure c'è qualcosa che gli manca, indissolubilmente legata a qualcosa che ci manca.
è la risposta alla domanda "perché"?
screzi, un clima non più idilliaco, la sazietà e l'abitudine a vedersi troppo e spesso, ad essersi amati troppo arrivando, trascinandosi, a sopportarsi.
sarà stato giusto, ma siamo morti un po' entrambi.
se avessi dovuto individuare una certezza, la prima alla quale mi sarei aggrappato per ripartire, sarebbe stata la nostra solidità difensiva, l'impermeabilità di quella catena indissolubile, quasi invincibile composta da giovanotti invecchiati, spauracchi per tutti quasi anche per gli extraterrestri...

oggi, in seguito ad annate e campagne nelle quali abbiamo salutato pezzi di cuore e pezzi da novanta indimenticati, continuo a pensare che la squadra nata orfana di Pogba, avrebbe necessitato di un progetto biennale per provarci finalmente a Kiev. la storia mi ha smentito, ha capovolto tutto.
a Cardiff ci siamo andati ed abbiamo pianto, ma non di felicità.
a Kiev ci andremo? non lo so.
questa squadra può tutto, gonfia di un talento offensivo raramente presente nella storia bianconera. quel Mister può tutto. ancora una volta. ma ad oggi, ci manca maledettamente quella presenza, quella del 19.
senza Leo è cambiato tanto, ed anche Leo è cambiato tanto.
senza i suoi fratelli bianconeri e senza quell'idea di fascia che avrebbe, poi, indossato anche a Torino.
senza quell'abbraccio di affetto che lo aveva avvolto e riempito nell'immensa paura del vuoto. senza il derby casalingo con Lorenzetto. senza la bocca risciacquata allo Stadium, senza quelle "Bonucciate" fischiate e perdonate.

non riesco a non augurargli il bene. il calcio resta un gioco e resta il più bel gioco.
come quell'amore che non si dimentica, che IO non dimentico.

magari ci incontreremo ancora, sicuramente già in Russia (...) con gli stessi colori addosso.
magari dopo che il suo ex Capitano avrà alzato quello che viene definito come "un non capolavoro a livello artistico ma che ogni giocatore sogna di avere tra le mani".
quello che gli manca per chiudere in poesia.
quello che ci manca per metabolizzare Cardiff, e non solo.

insieme sarebbe stato più facile, divisi sarebbe ancora più bello.

divertiti a Milano Leo, ma accontentati di guardarci ancora vincenti.




f.a.