mercoledì 24 giugno 2015

Good Luck Maestro

ho sempre sentito dire, da qualcuno più esperto di me, che di giocatori così ne nasca uno ogni 20-30 anni.
non avendo la giusta esperienza anagrafica dalla mia, mi esimo dai confronti.
mi limito quindi alla spassionata ode verso il nostro sommo giocatore.
un bresciano precoce, già esordiente ad appena sedici anni in quello che all'epoca era riconosciuto come il miglior campionato del mondo.
a quell'età quasi tutti i comuni mortali, ma non solo loro, calcano i campi nella categoria allievi, inseguendo bellezza e fama.
lui a diciassette anni si imponeva in cadetteria, a diciotto concludeva la prima vera stagione nella massima serie. una retrocessione non gli impedisce di attirare le attenzioni dell'Inter, la sua prima importante avventura. complice una fase storica travagliata per la compagine nerazzurra, vola fino a Reggio Calabria per farsi finalmente apprezzare. poi il ritorno alla base prima del prestito invernale verso Brescia. a casa sua. Mazzone gli cambia il ruolo, arretra il suo raggio d'azione, rende possibile la compresenza di Andrea e di Roberto Baggio. diventa un play-maker, un regista atipico.
lì sembra esplodere, prima di infortunarsi e terminare anzitempo la stagione.
in quell'estate fa ritorno a Milano ma sull'altra sponda, acquistato dai cugini rossoneri.
l'inizio non è dei migliori, fatica a trovare spazio e collocazione in mezzo a tutti quei campioni. Ancelotti poi decide di prendere spunto dall'intuizione mazzoniana, riproponendolo vertice basso del suo rombo. sarà la fortuna di entrambi, per quasi un decennio. trionfa due volte sul tetto d'Europa, nel mezzo perde la finale di Istanbul, diventa immortale nel mondiale tedesco con la Nazionale.
colleziona più di 400 presenze in rossonero, andando a segno una volta ogni dieci incontri.
sembrava una storia d'amore non destinata a finire, imprescindibile per entrambi.
ma nell'estate del 2011, a trentadue anni, il non rinnovo del contratto porta alla rottura del rapporto. l'infortunio dell'ultimo anno sembrava avergli fatto perdere la titolarità ed il futuro nelle gerarchie nei freschi campioni d'Italia.
le lacrime per l'addio e gli abbracci dei compagni. poi le ipotesi future. le prime sirene extraeuropee, vicine e lontane dal calcio che conta, ricche abbastanza per far vacillare chiunque.
ma con un Europeo da conquistare e la volontà, forte, di dimostrare l'integrità e l'indiscusso talento ha deciso di sposare il progetto Juve.
una nuova grande sfida, in una squadra titolata ma da rifondare dopo due settimi posti consecutivi.
la scelta giusta per ripartire, per tornare grandi, insieme.
quattro anni, altrettanti scudetti. in quattro anni, 164 partite. in quattro anni pennellate incantate, ovazioni meritate in uno stadio nuovo e bello, pendente dai suoi piedi, dalle sue magie.
avrebbe voluto chiudere in bellezza, confezionare uno storico triplete, realizzare un sogno, terminare in lacrime di felicità questa storia d'amore tardiva ma ricca di passione. ma hanno vinto gli altri.
non l'ultima coppa, ma gli applausi scroscianti di un pubblico innamorato da sempre dei grandi interpreti, fiero di aver potuto esultare per le prodezze mature del fuoriclasse Pirlo.
pensare che già quattro stagioni fa' fosse arrivato etichettato come un giocatore finito, pronto per svernare in lidi più caldi e non di certo per percorrere una decina di chilometri a partita, fa' un certo effetto.
è lento, si diceva. vero, ma sempre pensa il doppio più velocemente rispetto a tutti gli altri. caratterizzante, pacato, rilassato, mai tagliente se non nelle sue parabole, troppo poco sorridente con la stampa, non con i suoi compagni.
estraneo al divismo, anomalo e non fisicato, educato, difficilmente un'icona, sicuramente unico.
ha reinventato un ruolo, viene chiamato The Maestro, difficilmente sarà sostituibile, sicuramente non sarà paragonabile. di giocatori così, non ne nascono più.


f.a.

giovedì 18 giugno 2015

il peggio deve ancora venire?

il post-Berlino non è stato dolce.
prima la Coppa che balla tra le mani dei favoriti, poi le lacrime dei protagonisti sconfitti sul campo.
da tifoso ed osservatore ecco d'impatto la delusione e le lacrime, poi il riconoscimento della superiorità blaugrana prima della fierezza per una squadra che ha fatto forse il massimo.
il massimo inteso come crescita maturata nell'intera competizione. dalle critiche dopo Atene al risveglio ruggente sotto la pioggia contro i greci. dall'esaltazione ed il salto di qualità a casa di Klopp alle prestazioni di dubbia qualità contro i monegaschi. il resto dal Real in poi è storia.
pazienza per la sesta finale persa in Europa. non sempre vince il più forte, ma a Berlino non è andata così.
dal day after con l'analisi delle lacrime di Pirlo e di Morata, prima delle medaglie orgogliosamente respinte, si parla ininterrottamente di quello che sarà l'immediato futuro.
la fuga di Carlitos, verso i soldi o verso il cuore, le aste milionarie esagerate per Pogba, la possibile cessione di Vidal, la recompra immediata di Morata ed infine lo svecchiamento della squadra.
nel mezzo le ufficialità degli arrivi di Dybala e Khedira, che in qualche modo sembrano certificare le partenze di qualcuno dei sopraccitati.
certezze e speranze dei tifosi vengono tempestate e ribaltate quotidianamente.
prima della finale di Berlino si parlava di una valigia piena di soldi, garantita dai premi europei, in grado di pareggiare o almeno limare il gap con le big, per confermarsi nella prossima primavera ancora in lotta sui tre fronti. poi Berlino ha cambiato tutto. Pirlo finito e di corsa verso i Dollari, Tevez da Madrid a Parigi a Buenos Aires in ordine sparso, Llorente a Monaco a Valencia o Londra, Morata e magari Bonucci a Madrid, Vidal dall'amico Sanchez a Londra.
tante possibili partenze (ad oggi nessuna) tantissime possibili entrate. in mezzo il vecchio motto, che risuona di sconfitta, il "non si compra se prima non si vende", poi "l'ossatura rimarrà intatta", "il bilancio prima di tutto", "spenderemo per far crescere una rosa difficilmente migliorabile" ... tante parole, troppe parole. maledetti giornali.
realisticamente, ad oggi, con questa stessa squadra sarà molto difficile riconfermarsi.
la prima certezza ad oggi sono i due arrivi più Rugani, che con la teorica ma improbabile rosa confermata in blocco migliorerebbero collettivamente la squadra.
l'altra certezza è la presenza del tesoretto europeo, ma a cosa poi siano effettivamente destinati la gran parte di quei soldi lo sanno solo gli addetti ai lavori bianconeri.
ci sarebbe un'altra certezza, ma esprime un mio pensiero. Marotta e Paratici hanno speso negli anni un bel gruzzoletto. per assurdo i migliori affari li hanno fatti a bassissimo o basso costo. l'ultimo in ordine di arrivo potrebbe essere l'aver tesserato Khedira a zero euro. lampante e disonesto sarebbe non riconoscere a quei due di aver costruito, sulla carta, un centrocampo top con 11 milioni totali circa, Pereyra escluso. geniali!
dopo i meriti però, arrivano i dubbi legati agli investimenti di ingenti somme. qui i due dirigenti hanno mostrato in passato più di qualche difficoltà. in quasi tutti i casi gli esborsi milionari non hanno portato a risultati positivi. oggi, probabilmente, sarà più difficile incappare in errori grossolani, sia per l'esperienza acquisita dagli errori del passato sia per il ritrovato appeal del brand bianconero. le prestazioni fuori dal campo dei due dirigenti saranno decisive per la crescita e la conferma di questa squadra. il mercato è un mondo strano, le botteghe care sono in aumento così come i flop. ci sono tanti ottimi giocatori alcuni dei quali avviati verso il viale del tramonto, che accetterebbero ben volentieri una proposta bianconera. farsi attirare dal nome e dal passato di questi sarebbe ingannevole e dannosissimo. la strada da percorrere penso sia un'altra, opposta.
la pazienza, la programmazione, l'intuito ma soprattutto la volontà di migliorarsi e non sedersi, per ritrovarsi ad aprile con l'obbiettivo Milano ancora vivo. il peggio deve ancora venire se si lavorerà con l'idea di non cambiare ma al massimo di rimpiazzare.
il meglio invece dovrà ancora arrivare se si lavorerà benissimo in questa finestra di mercato e se, a sorpresa, in quella primavera pre-Europeo saremmo ancora lì a riconfermarci e, perchè no, a migliorarci.


f.a.

sabato 6 giugno 2015

Carlitos y el Jefecito.

avversari prima, compagni poi, amici sempre.
oggi sarà per loro come un Superclàsico, forse più importante di quella prima semifinale di Libertadores del 2004, appena ventenni.
oggi ci si gioca di più. inseguono la coppa più importante del continente, quello che li ha consacrati.
due leader naturali, due combattenti nati.
compagni e vincenti nel Corinthians del 2005, prima del grande salto europeo verso il West Ham, obbiettivo la salvezza in Premier. poi le due sponde di Manchester per Carlitos, Liverpool per Javier. oggi i trionfi italiani con la Juve per il Brigante e le vittorie infinite con il Barça per il piccolo Jefe.
ora la finale di Champions, per suggellare due carriere fantastiche. festeggerà solo uno ma l'altro, lo sconfitto, sarà uno degli ultimi a mollare. è la loro indole, il loro essere.
tutto il mondo Juve depone le proprie speranze di vittoria nell'Apache. i Blaugrana invece hanno l'imbarazzo della scelta, un talento illimitato ma oggi, là dietro, servirà il miglior Mascherano per provare a sterilizzare gli attacchi Apache.
sarà forse l'ultimo grande duello nel vecchio continente per questi due combattenti del pallone.
poi torneranno a casa ma il pensiero del Superclàsico, oggi, passerà in secondo piano.

f.a.


venerdì 5 giugno 2015

self-made man.

quella partita si sogna fin da piccoli. che sia asfalto, erba, terra battuta o un corridoio di casa.
con la pioggia e con il sole. basta un pallone e l'immaginazione sconfinata di un bambino. l'emulazione dei propri eroi in qualsivoglia occasione.
a qualcuno poi capita che quel destino elitario trasformi quel sogno in realtà. nel mezzo sono passati anni, magari lunghi e difficili, di sacrifici e soddisfazioni, ma quel giorno sognato ora ha una data, ora è reale.
chissà come ci si sente nel vivere quell'attesa, quel passaggio immaginato e magari disatteso per lunghi periodi. non tutti nascono fatati nei piedi, aggraziati nei movimenti e pronti a coltivare quelle doti naturali che possano di diritto assicurare l'accesso verso certi palcoscenici. in tanti, la maggior parte di quelli che ce la fanno, devono percorrere chilometri sacrificanti, percorsi ad ostacoli difficili da raccontare, tortuosi oltremodo. l'abnegazione e la voglia di emergere fanno la differenza quando non si nasce virtuosi del gioco. il bello però è che il calcio può regalare storie così. può mettere sullo stesso tavolo i baciati dal divino ed i sognatori testardi. in quello scontro poi nessuno sa mai cosa effettivamente succederà.
può anche succedere, però, che nell'attesa di quel giorno, quando gli ostacoli prima dell'atto sembrano finiti, e ci si prepara concentrati per l'ingresso in campo, possa arrivare un imprevisto. un altro, magari l'ennesimo, sicuramente il più fastidioso da sopportare.
a quelli come te nessuno regala mai niente. negli errori e negli elogi. ti sei fatto da solo. tanto lavoro, lo studio fino alla laurea in economia, professionalità e un'immensa caparbietà. i tuoi dogmi, e anche oggi, anche domani li seguirai. salirai comunque su quell'aereo per raggiungere la destinazione. ti preparerai mentalmente insieme ai tuoi compagni, gli darai forza, gli infonderai un po' del tuo immenso coraggio, quello che ti ha portato di diritto a giocarti una partita così, prima di quel grande imprevisto. non indosserai quelle bullonate, e nemmeno quella vistosa benda bianca dopo un generoso scontro di gioco. metterai la camicia bianca, un abito impeccabile e sarai lì a pochi metri da quel palcoscenico chissà quante volte fantasticato.
un bambino ha il diritto di sognare, un uomo che ha lottato anni per rendere quel sogno innocente una realtà non dovrebbe incappare in questi maledetti scherzi del destino. ma va così. dopo una salita c'è sempre una discesa. speriamo già da domani, dopo quel fischio, di sentirti esultare sotto un cielo ancora una volta azzurro. sarebbe bello, sarebbe un sogno, forse sarà realtà.


f.a.

mercoledì 3 giugno 2015

el hombre en vertical...

ventidue anni, fino all'ottobre prossimo.
casualmente o no, alla seconda finale europea consecutiva.
in un solo anno però è cambiato tutto.
il maggio scorso era ancora un semplice adepto in quella Casablanca da copertina, nella conquista di quella "decima" nella notte di Lisbona.
oggi, a tre giorni dalla finale di Berlino, cova la speranza di matare i suoi rivali del cuore, i blaugrana.
dal Castilla alla Juve, da mister Toril a mister Allegri, passando per Mourinho e Ancelotti.
dalla sub-17 alla nazionale maggiore di Del Bosque.
ieri meteora, oggi rivelazione e certezza, lontano da casa, lontano dalla sua Madrid.
sorridente ma timido, più futboleros che studioso ai tempi della scuola. preferiva il pallone e talvolta la racchetta ai libri. una bocciatura scolastica gli impedì di aggregarsi alla cantera colchonera, allora continuò così a segnare per il suo "Colegio el Prado". caterve di gol e un istinto irrefrenabile, correre veloce verso la porta. solo o accompagnato non ha mai fatto differenza, l'obiettivo per lui è sempre stato far gol. a nulla sono servite le punizioni del suo allenatore dell'epoca, la panchina anche dopo una prodezza in assolo, Alvaro è rimasto così. controlla la palla con uno stop orientato e scatta verso la porta. in spagna definiscono Hombre Vertical colui il quale non scende mai a compromessi, sostiene le sue idee senza piegarsi mai. evitando tesi troppo ardue per l'argomento trattato, mi prendo la licenza poetica di definire il nostro come Hombre en Vertical. elegante, corre spensierato verso l'obiettivo. poco importa se in quel momento sarebbe più giusto fermarsi e non creare quello strappo, quel vuoto che si lascia dietro, di compagni ed avversari. madridista sin da piccolo, sognava Raul, assomigliava a Morientes, spiava Ronaldo, ma non immaginava di dare un dispiacere grosso così al suo ex pubblico, che mai ha avuto modo di apprezzarlo per quello che è oggi, se non da avversario. lui, rispettoso oltremodo per quel colore, non esulta, ma è fiero dentro, per essersi rivelato a tutti. difficile imporsi al Real, per un bomber canterano troppo sorridente ma timido, ed emergere in una squadra di star e davanti ad un pubblico troppo esigente. la sua missione non è finita. forse un giorno tornerà da protagonista a casa per rialzare quella coppa, non da adepto ma da Matador. sabato però, quei tifosi che non più di tardi di tre settimane fa lo fischiavano rabbiosi in quanto sue fresche vittime, tiferanno per lui, contro i rivali storici. Alvaro potrà esultare, consapevole che farebbe felici tutti. quelli che nel maggio scorso festeggiavano la decima dopo un inseguimento durato 12 anni, e quelli che da 12 anni attendono una soddisfazione immensa dopo la delusione nella finale italiana di Manchester. glielo chiederà soprattutto il suo Capitano, per riempire una bacheca straordinaria ma incompleta; gli dirà di correre veloce verso quella porta, promettendogli che stavolta, dopo un golazo, il suo vecchio Mister Josè Ruiz non lo punirà, lo applaudirà!

f.a.